Chi siamo

ASPOS , Associazione Solidale Padovana Operatori Sanitari, nasce a Padova nell’aprile 2009 con lo scopo di erogare servizi e prestazioni sanitarie e solidali senza scopo di lucro in cooperazione con Istituzioni Religiose Cattoliche in varie parti del mondo.
Di attuare, inoltre,eventuali progetti di formazione scientifico – culturali di personale sanitario locale e di contribuire alla realizzazione di strutture sanitarie “in loco”, mediante consulenze attive sui progetti e agendo praticamente nella loro realizzazione.

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ASPOS ASS.SOLIDALE PADOVANA OPERATORI SANITARI ONLUS

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Foto di Carolina Paltrinieri
www.carolinapaltrinieri.wordpress.com

RITORNO AD ADUA

Non siamo più andati ad Adua. Sono più di tre anni. Un anno di pandemia e due di guerra l’hanno impedito. Arrivavano frammentarie notizie di quello che accadeva attraverso resoconti sporadici di chi era rimasto, ma ora che le armi tacciono è importante andare di persona a vedere, a toccare con mano, a studiare come ripartire.
Abbiamo formato un piccolo gruppo: Leda ed io, Loredana e Vittorio medico di laboratorio, Mario pediatra, Gianni economista, Antonio e Alberto tecnici della costruzione, Daniel tecnico degli infissi. Siamo partiti con l’idea precisa di “osservare”, di vedere che cosa hanno lasciato gli eventi di questi tre anni, come si sono organizzati per affrontarli, quali sono i bisogni più urgenti, cosa fare da subito e nel futuro.
La città è apparentemente la stessa di sempre: non ci sono segni evidenti della guerra, non ci sono case diroccate né crateri di bombe, niente campi minati o armi pesanti. Solo qualche camion o pullman bruciati lungo le strade. Ma le persone sono diverse: sembrano più tristi, sono senz’altro più povere. Un tempo c’erano tanti piccoli negozi pieni di ogni sorta di mercanzie, ora sono molto meno e quasi vuoti. Il sabato c’è ancora il mercato, ma ora lungo le strade improvvisano piccoli mercati con esposti a terra, nel tentativo di trovare un acquirente, qualche piccolo oggetto, un frutto, un po’ di verdura. Davanti alla Missione salesiana e all’Istituto delle Suore di Madre Teresa: diecine di metri di fila di persone in attesa di avere qualcosa da mangiare o un po’ di acqua potabile. E colpisce la loro apparente rassegnazione: stanno ordinati in fila, senza schiamazzi, aspettando il loro turno. E con tanta dignità: nessuno viene a chiederti niente, nemmeno con discrezione. Non circola denaro, quindi a risentirne sono soprattutto commercio e artigianato. I prezzi sono alle stelle, con la moneta in continua svalutazione.
E non potrebbe essere altrimenti: ad un paio di chilometri dalla Missione c’era una fabbrica di tessuti che dava lavoro a più di tremila dipendenti. Ora non esiste più e lo stesso vale per una cava di pietra della zona.
È chiaro che in queste condizioni di disperazione qualcuno è tentato di andarsene, di rischiare la pelle nel deserto, nei campi profughi del Nordafrica e nei barconi. Ma se venisse data la possibilità di lavorare a casa loro, nessuno se ne andrebbe. A suo tempo, quando la Missione dava lavoro a 250 dipendenti e funzionavano le fabbriche, Suor Laura poteva affermare che da Adua nessuno scappava.
E poi la scuola. Da quasi tre anni le scuole sono chiuse, con migliaia di ragazzi che stanno accumulando ritardi incolmabili nella loro formazione e nella vita futura.
E poi la salute. Oltre al dramma personale, senza salute non si può lavorare.
Ed eccoci quindi al nostro ospedale. Ha passato un periodo nel quale ha dovuto dare alloggio e rifugio a centinaia di profughi e quindi si è dovuta accantonare tanta parte dell’attrezzatura esistente, che ne è rimasta anche in parte danneggiata. Poi l’attività è ripartita, con pochi mezzi e poco personale, con l’attivazione dell’Ostetricia, con più di cento accessi al giorno. Funziona come un ospedaletto di retrovia del fronte, ma funziona. Tant’è vero che abbiamo pensato di non interferire, all’inizio, nella sua organizzazione ma di trasportare l’attività nella nuova struttura quando sarà ultimata. Abbiamo pertanto formulato una ipotesi di sviluppo che passa attraverso tre stadi: struttura, strumentazione, personale. Se non ci saranno problemi nel trasporto dei materiali, abbiamo previsto il completamento dell’ospedale per la fine 2024 – inizio 2025.
Per concludere, vorrei dire due parole sui pazienti. Abbiamo visto i ”soliti” casi drammatici che vediamo in Africa: traumi devastanti, esiti di morsi di serpenti, ustioni, gangrene. Ad essi ora dobbiamo aggiungere gli esiti di gravi ferite di guerra, per i quali ci stiamo attrezzando per trattarli nel prossimo autunno.
Le tante guerre e calamità di questi ultimi anni hanno reso alquanto insensibili le persone che ne sentono parlare: una mutilazione, un danno irreversibile, la morte stessa non fanno più sensazione. Evito pertanto di dilungarmi su quello che abbiamo visto. Voglio raccontare solo di una bambina di tre anni, arrivata ad Adua dopo settimane di cammino dal confine con il Sudan, rallentata dalla guerra. Presenta esiti retraenti di gravissime ustioni alla parte superiore del corpo, in particolare anteriormente al collo: la retrazione va dal torace al labbro inferiore, non può estendere il collo, non può chiudere la bocca, non può ruotare la testa. Un primo intervento ha ridato una discreta mobilità al collo, può ora chiudere la bocca, può sorridere. Al momento delle medicazioni, dopo un po’ di pianto, fa un sorriso e con la manina sana “batte cinque” sulle mani di tutti.
Per questo siamo ritornati e ritorneremo ad Adua
Giampaolo Fasolo

Padova, Aprile 2023

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